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Indice Orientamenti

 

 

Anno XII - 2009 - n° 1-2

Sommario:

 

Gaza: un genocidio
L’Italia a brandelli * Nicola Cospito
La crisi che viene da lontano * Rutilio Sermonti
La politica giudiziaria di Berlusconi * Massimo Tirone
Le riforme nazionalpopolari * Alessandro Mezzano
A proposito di costituzione * Benito Sarda
Una pagina di revisionismo storico * Francesco Mancini
Formula della guerra e del caos strutturato * Guglielmo Lolli Ghetti
L’aristocrazia legionaria del XXI secolo * Danilo Zongoli
Recensioni e segnalazioni
 

 

 

L'EDITORIALE

L'Italia a brandelli

Nicola Cospito

 

L'Italia è ridotta a brandelli. Sessantaquattro anni di regime democratico parlamentare hanno avuto ragione del tessuto connettivo di quello che un tempo si era soliti definire «il bel paese». E sono in molti a pensare che l'esigenza espressa da Massimo D'Azeglio al momento del raggiungimento dell'unità nel 1861, «fatta l'Italia bisogna fare ora gli Italiani», sia rimasta disattesa. In effetti, per dirla tutta, l'unità morale e civile degli italiani nacque sui campi di battaglia e nelle trincee della prima guerra mondiale e fu cementata dal Fascismo nel periodo tra le due guerre.
Con orgoglio, in occasione della marcia su Roma, al re che gli affidava l'incarico di formare il nuovo governo, Benito Mussolini poteva dire di rappresentare l'Italia di Vittorio Veneto. Oggi quell'Italia non esiste più, come probabilmente non esistono più nemmeno gli italiani. Tutt'al più è possibile parlare di italici, vale a dire di persone che abitano la penisola, legate da vincoli non storici, culturali o spirituali, appartenenti alla sfera per così dire comunitaria, ma che mantengono relazioni fondate su un intreccio di interessi che li vede la maggior parte delle volte contrapposti in una logica individualista accentuata dalla diseducazione esercitata dal sistema democratico a tutti i livelli. Tanto ha potuto infatti la liberal-democrazia con la sua mistica della concorrenza e del profitto. La liberal-democrazia ha generato infatti migliaia di "furbetti" che operano impuniti nella illegalità solo e soltanto per il proprio tornaconto. Il processo degenerativo in atto è destinato a continuare fino a quando non si arriverà ad una situazione di emergenza sociale tale da risvegliare le coscienze. A tale proposito, è bene precisare che quando noi stessi parliamo di movimento nazionalpopolare, ci riferiamo non al popolo come oggi è "in atto", disgregato e individualista, ma alla sua potenzialità di rinascita in senso comunitario, vale a dire ad un popolo degno di tale nome e che oggi non esiste, un popolo inteso come nazione e comunità di destino, il popolo che forse verrà e che comunque dovrà essere il punto di arrivo di un processo di profonda e radicale rieducazione.
Risalire la china non sarà facile dato lo sfacelo presente, ma il nostro dovere è di impegnarci in tal senso, almeno tracciando la direzione giusta in cui muoverci. Osservava giustamente Nino Amato in uno dei suoi brillanti interventi su Internet che oggi il nemico lo abbiamo in casa. Nemici sono i partiti, ormai veri e propri comitati d'affari dediti al saccheggio del paese, i loro politici corrotti, superstipendiati alla faccia della povertà delle famiglie, ansiosi di entrare in qualche consiglio di amministrazione per sgraffignare tangenti a palate, pronti ad ogni sorta di trasformismo pur di restare a galla.
Basti pensare a quanto successo nella regione Abruzzo dove prima è stato arrestato il suo presidente e poi, proprio mentre le elezioni erano in corso, il sindaco di Pescara, o ancora agli arresti degli assessori napoletani. Se a questo si aggiunge poi lo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro scontro dovuto e al tentativo di qualcuno di insabbiare le inchieste contro i politici corrotti il quadro dello sfacelo è completo.
L'Italia è dunque a brandelli; e che dire delle più alte cariche dello Stato che hanno svenduto la sovranità nazionale, consentendo ad eserciti stranieri di disseminare il territorio italiano di proprie basi militari dove, a quanto pare, sono addirittura presenti ordigni nucleari. Del resto la costruzione dell'aereo statunitense da bombardamento F35 nella base di Cameri in provincia di Novara la dice lunga.
E che dire di Berlusconi che contro la volontà popolare e le sentenze della magistratura ha imposto l'allargamento della base americana di Vicenza? Non si tratta essere alleati ma succubi. In Italia poi, agiscono indisturbati servizi segreti stranieri. Il sequestro di Abu Omar a Milano è stata solo la punta dell'iceberg.
Per questo, quando Napolitano appare in televisione, preferiamo cambiare canale. Le sue parole sono infatti aria fritta che nascondono la sudditanza nei confronti dei potenti, cosa che è emersa ancora una volta in occasione dei recenti bombardamenti criminali condotti dallo Stato ebraico contro la popolazione civile di Gaza. E così pure cambiamo canale quando compare il ghigno di Fini, un altro politicante che in nome di un carrierismo senza precedenti, non esita a prostrarsi ogni giorno ai poteri forti e ai loro piani di dominio sul mondo.
E questo, nella migliore tradizione negativa italica che già nel Medioevo suscitava l'indignazione di Dante e di Petrarca e che nell'epoca del Rinascimento vedeva gli italiani piegarsi a francesi e spagnoli che combattevano le loro guerre in Italia mettendo "il bel paese" a ferro e fuoco. «Franza o Spagna basta che se magna». Da allora ben poco, anzi nulla è cambiato.
Il problema che però si pone e che non può essere eluso, è quello di individuare le forze con le quali affrontare la buona battaglia, le forze con le quali costruire un movimento in grado di trascinare gli italiani stanchi di essere truffati da un governo di servitori e da un'opposizione inesistente se non connivente. Il panorama politico è desolante. La cosiddetta area, se mai è esistita, ha suonato il suo de profundis nel momento in cui ha deciso di convergere con argomenti più o meno pretestuosi verso il berlusconismo, facendosi usare senza ritegno. Di fatto è passata nel campo nemico e le recenti affermazioni filosioniste di alcuni suoi esponenti lo attestano. Da quel versante ben poco dunque si può ricavare.
La Destra di Storace, nonostante la presenza al suo interno di alcune energie sane e in buona fede (accanto comunque ad una fetta consistente di opportunisti), si attarda su posizioni ambigue, incapace da un lato di chiarire la sua linea politica sia interna che estera, e dall'altro di cogliere e rappresentare il malumore della gente che ormai preferisce non andare più a votare. A fronte di un quasi 50% di elettori che hanno disertato le urne nelle recenti elezioni regionali in Abruzzo, il partito di Storace e Buontempo è riuscito a captare un magrissimo 1,9% non ottenendo alcun seggio. I dirigenti della Destra, oltre a rompere una volta per tutte e definitivamente con Berlusconi, che da tempo li snobba, continuano a persistere nell'errore, innanzi tutto nel definirsi destra.
Destra e Sinistra infatti agli occhi della opinione pubblica ormai pari sono.
Queste nostre riflessioni si impongono per rispondere a chi ci invita ad un maggiore realismo e ad una maggiore concretezza, come se la lotta politica si misurasse solo nel momento elettorale. Lungi da noi, la tentazione extraparlamentare, ma è un dato di fatto che fino a quando non ci sarà un movimento limpido ed efficace, capace di rappresentare le nostre istanze, fino a quando le leggi elettorali risulteranno truccate, concepite ad uso e consumo di una classe politica sclerotica che vuole bloccare ogni rinnovamento, riterremo inutile andare a votare ed anzi, come già fatto in precedenza, promuoveremo l'astensionismo.
Nel frattempo qualcosa si muove. E si muove a livello trasversale come è giusto che sia.
Mentre scriviamo giungono notizie di incontri, riunioni, convegni di uomini di diversa provenienza politica che avvertono l'esigenza lavorare uniti per cercare di fare uscire l'Italia finalmente dalla palude in cui il par-titismo l'ha cacciata. Iniziative queste che meritano la nostra attenzione, a patto che si metta da parte la pregiudiziale antifascista e che si sappia guardare avanti.
Si tratta per il momento solo di minoranze? E che importa? La gravità della crisi -il crollo del capitalismo e del liberismo sono ormai nell'aria- non permette soluzioni affrettate o pasticciate. L'importante, come dicevamo all'inizio di questa riflessione, è che si individui la giusta direzione, la strada maestra sulla quale convogliare un po' alla volta chi non ha smesso di sperare nel cambiamento.
La storia non conosce salti e nemmeno scorciatoie, ma noi siamo già e comunque in campo a fare ciò che deve essere fatto. Questo è il nostro privilegio di essere e sentirci avanguardia, privilegio di cui andiamo fieramente orgogliosi.

 

Nicola Cospito