L'EDITORIALE
L'Italia a brandelli
Nicola
Cospito
L'Italia è ridotta a
brandelli. Sessantaquattro anni di regime democratico parlamentare hanno
avuto ragione del tessuto connettivo di quello che un tempo si era
soliti definire «il bel paese». E sono in molti a pensare che l'esigenza
espressa da Massimo D'Azeglio al momento del raggiungimento dell'unità
nel 1861, «fatta l'Italia bisogna fare ora gli Italiani», sia rimasta
disattesa. In effetti, per dirla tutta, l'unità morale e civile degli
italiani nacque sui campi di battaglia e nelle trincee della prima
guerra mondiale e fu cementata dal Fascismo nel periodo tra le due
guerre.
Con orgoglio, in occasione della marcia su Roma, al re che gli affidava
l'incarico di formare il nuovo governo, Benito Mussolini poteva dire di
rappresentare l'Italia di Vittorio Veneto. Oggi quell'Italia non esiste
più, come probabilmente non esistono più nemmeno gli italiani. Tutt'al
più è possibile parlare di italici, vale a dire di persone che abitano
la penisola, legate da vincoli non storici, culturali o spirituali,
appartenenti alla sfera per così dire comunitaria, ma che mantengono
relazioni fondate su un intreccio di interessi che li vede la maggior
parte delle volte contrapposti in una logica individualista accentuata
dalla diseducazione esercitata dal sistema democratico a tutti i
livelli. Tanto ha potuto infatti la liberal-democrazia con la sua
mistica della concorrenza e del profitto. La liberal-democrazia ha
generato infatti migliaia di "furbetti" che operano impuniti nella
illegalità solo e soltanto per il proprio tornaconto. Il processo
degenerativo in atto è destinato a continuare fino a quando non si
arriverà ad una situazione di emergenza sociale tale da risvegliare le
coscienze. A tale proposito, è bene precisare che quando noi stessi
parliamo di movimento nazionalpopolare, ci riferiamo non al popolo come
oggi è "in atto", disgregato e individualista, ma alla sua potenzialità
di rinascita in senso comunitario, vale a dire ad un popolo degno di
tale nome e che oggi non esiste, un popolo inteso come nazione e
comunità di destino, il popolo che forse verrà e che comunque dovrà
essere il punto di arrivo di un processo di profonda e radicale
rieducazione.
Risalire la china non sarà facile dato lo sfacelo presente, ma il nostro
dovere è di impegnarci in tal senso, almeno tracciando la direzione
giusta in cui muoverci. Osservava giustamente Nino Amato in uno dei suoi
brillanti interventi su Internet che oggi il nemico lo abbiamo in casa.
Nemici sono i partiti, ormai veri e propri comitati d'affari dediti al
saccheggio del paese, i loro politici corrotti, superstipendiati alla
faccia della povertà delle famiglie, ansiosi di entrare in qualche
consiglio di amministrazione per sgraffignare tangenti a palate, pronti
ad ogni sorta di trasformismo pur di restare a galla.
Basti pensare a quanto successo nella regione Abruzzo dove prima è stato
arrestato il suo presidente e poi, proprio mentre le elezioni erano in
corso, il sindaco di Pescara, o ancora agli arresti degli assessori
napoletani. Se a questo si aggiunge poi lo scontro tra le procure di
Salerno e Catanzaro scontro dovuto e al tentativo di qualcuno di
insabbiare le inchieste contro i politici corrotti il quadro dello
sfacelo è completo.
L'Italia è dunque a brandelli; e che dire delle più alte cariche dello
Stato che hanno svenduto la sovranità nazionale, consentendo ad eserciti
stranieri di disseminare il territorio italiano di proprie basi militari
dove, a quanto pare, sono addirittura presenti ordigni nucleari. Del
resto la costruzione dell'aereo statunitense da bombardamento F35 nella
base di Cameri in provincia di Novara la dice lunga.
E che dire di Berlusconi che contro la volontà popolare e le sentenze
della magistratura ha imposto l'allargamento della base americana di
Vicenza? Non si tratta essere alleati ma succubi. In Italia poi,
agiscono indisturbati servizi segreti stranieri. Il sequestro di Abu
Omar a Milano è stata solo la punta dell'iceberg.
Per questo, quando Napolitano appare in televisione, preferiamo cambiare
canale. Le sue parole sono infatti aria fritta che nascondono la
sudditanza nei confronti dei potenti, cosa che è emersa ancora una volta
in occasione dei recenti bombardamenti criminali condotti dallo Stato
ebraico contro la popolazione civile di Gaza. E così pure cambiamo
canale quando compare il ghigno di Fini, un altro politicante che in
nome di un carrierismo senza precedenti, non esita a prostrarsi ogni
giorno ai poteri forti e ai loro piani di dominio sul mondo.
E questo, nella migliore tradizione negativa italica che già nel
Medioevo suscitava l'indignazione di Dante e di Petrarca e che
nell'epoca del Rinascimento vedeva gli italiani piegarsi a francesi e
spagnoli che combattevano le loro guerre in Italia mettendo "il bel
paese" a ferro e fuoco. «Franza o Spagna basta che se magna». Da allora
ben poco, anzi nulla è cambiato.
Il problema che però si pone e che non può essere eluso, è quello di
individuare le forze con le quali affrontare la buona battaglia, le
forze con le quali costruire un movimento in grado di trascinare gli
italiani stanchi di essere truffati da un governo di servitori e da
un'opposizione inesistente se non connivente. Il panorama politico è
desolante. La cosiddetta area, se mai è esistita, ha suonato il suo de
profundis nel momento in cui ha deciso di convergere con argomenti più o
meno pretestuosi verso il berlusconismo, facendosi usare senza ritegno.
Di fatto è passata nel campo nemico e le recenti affermazioni
filosioniste di alcuni suoi esponenti lo attestano. Da quel versante ben
poco dunque si può ricavare.
La Destra di Storace, nonostante la presenza al suo interno di alcune
energie sane e in buona fede (accanto comunque ad una fetta consistente
di opportunisti), si attarda su posizioni ambigue, incapace da un lato
di chiarire la sua linea politica sia interna che estera, e dall'altro
di cogliere e rappresentare il malumore della gente che ormai preferisce
non andare più a votare. A fronte di un quasi 50% di elettori che hanno
disertato le urne nelle recenti elezioni regionali in Abruzzo, il
partito di Storace e Buontempo è riuscito a captare un magrissimo 1,9%
non ottenendo alcun seggio. I dirigenti della Destra, oltre a rompere
una volta per tutte e definitivamente con Berlusconi, che da tempo li
snobba, continuano a persistere nell'errore, innanzi tutto nel definirsi
destra.
Destra e Sinistra infatti agli occhi della opinione pubblica ormai pari
sono.
Queste nostre riflessioni si impongono per rispondere a chi ci invita ad
un maggiore realismo e ad una maggiore concretezza, come se la lotta
politica si misurasse solo nel momento elettorale. Lungi da noi, la
tentazione extraparlamentare, ma è un dato di fatto che fino a quando
non ci sarà un movimento limpido ed efficace, capace di rappresentare le
nostre istanze, fino a quando le leggi elettorali risulteranno truccate,
concepite ad uso e consumo di una classe politica sclerotica che vuole
bloccare ogni rinnovamento, riterremo inutile andare a votare ed anzi,
come già fatto in precedenza, promuoveremo l'astensionismo.
Nel frattempo qualcosa si muove. E si muove a livello trasversale come è
giusto che sia.
Mentre scriviamo giungono notizie di incontri, riunioni, convegni di
uomini di diversa provenienza politica che avvertono l'esigenza lavorare
uniti per cercare di fare uscire l'Italia finalmente dalla palude in cui
il par-titismo l'ha cacciata. Iniziative queste che meritano la nostra
attenzione, a patto che si metta da parte la pregiudiziale antifascista
e che si sappia guardare avanti.
Si tratta per il momento solo di minoranze? E che importa? La gravità
della crisi -il crollo del capitalismo e del liberismo sono ormai
nell'aria- non permette soluzioni affrettate o pasticciate.
L'importante, come dicevamo all'inizio di questa riflessione, è che si
individui la giusta direzione, la strada maestra sulla quale convogliare
un po' alla volta chi non ha smesso di sperare nel cambiamento.
La storia non conosce salti e nemmeno scorciatoie, ma noi siamo già e
comunque in campo a fare ciò che deve essere fatto. Questo è il nostro
privilegio di essere e sentirci avanguardia, privilegio di cui andiamo
fieramente orgogliosi.
Nicola Cospito |