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Indice Orientamenti

 

Anno II - 1999 - n° 1

Sommario:
 

Dalla democrazia bloccata alla democrazia oligarchica * Nicola Cospito

Socialdemocrazia: altri trucchi, altri inganni! * Pino De Rosa

"Giramondo: un giallo storico nella RSI" * Fabrizio Altieri

Il grande male "Metz Yeghern" * Alfredo Iorio

Apriamo il dibattito * La Primula Nera

Esiste ancora il canto gregoriano? * Maria Lina Veca

Percentuali anglosassoni * Ulderico Nisticò

La grande usura * Massimo Carota

Radiografia di un mendacio * Filippo Giannini

Calabria, Terra nobile e generosa * Antonio Speranza

A proposito di Evola ... * Alessandro Giuli

Gramsci e il fascismo * Pino Tosca

Le stelle * Giuseppe Indiano

Romanticismo Politico e pensiero reazionario * Giovanni Perez

Recensioni * Giorgio Bubbi e Maurizio De Arcangelis (a cura di)

 

L'EDITORIALE

 

Dalla democrazia bloccata
alla democrazia oligarchica

Nicola Cospito

 

Il balletto scellerato dei politicanti che proprio in questi giorni cianfrusagliano di riforme elettorali, ci induce ad alcune riflessioni.

Referendum o meno, tutti da Giuliano Amato a Massimo D'Alema, da Segni a Di Pietro, favorevoli al maggioritario per proprio tornaconto, mostrano di non tenere in alcun conto il sempre maggiore distacco della gente dalla politica, cosa che, che se ne accorgano o meno, svuota di significato la loro democrazia e di fatto li delegittima. Eppure solo qualche settimana fa la scarsissima affluenza alle urne da parte dei cittadini in occasione delle passate elezioni provinciali romane, aveva suscitato sgomento nelle stanze del palazzo ed era stata oggetto di analisi da parte di tutti i commentatori politici. Tutti avevano rimarcato la «stanchezza» della gente nei confronti della politica, causata secondo alcuni dallo scandalo delle recenti migrazioni degli eletti dal popolo da uno schieramento all'altro; molti avevano osservato come forse fossero state le provinciali, le meno sentite dalla popolazione, a provocare l'astensionismo e taluni ancora avevano invece individuato le cause di questo «distacco» nel fatto che nel nostro paese la gente è chiamata troppo spesso ad esprimere il voto e che di conseguenza -parere del sindaco di Roma Rutelli- la soluzione possibile, il toccasana contro il fenomeno che, dobbiamo sottolineare, è in continua crescita, poteva essere costituita dall'accorpamento di tutti gli appuntamenti elettorali in pochissime scadenze.

Nessuno però aveva detto quello che realmente pensava preferendo ignorare quello che, a nostro giudizio, ma non solo nostro, costituisce il motivo vero, la causa reale dell'astensionismo e cioè che le differenti leggi elettorali introdotte in Italia negli ultimi cinque anni e in particolare il sistema maggioritario con gli apparentamenti, i collegamenti delle liste, le alleanze non sempre chiare, la presenza di candidati non proprio trasparenti, senza dimenticare le difficoltà per la gente comune derivanti dalle complicazioni nell'espressione materiale del suffragio, hanno determinato uno stato di confusione e di incertezza che allontana la gente dalle urne. Solo il ministro degli Esteri Dini, in un impeto di estrema franchezza, ma anche con una buona dose di cinismo, ha avuto il coraggio di affermare che in effetti non c'è poi tanto da stupirsi, perché con il sistema maggioritario le cose vanno così, basta osservare le basse percentuali dei partecipanti al voto nei paesi anglosassoni.

E questo è vero. Le elezioni parziali svoltesi negli Stati Uniti lo scorso autunno hanno visto una partecipazione popolare del 38% e così pure in occasione della rielezione di Clinton alla Presidenza USA solo il 44% degli elettori si è recato alle urne. Queste percentuali, poi, sono quelle abituali nei paesi nordici. Nei paesi nordici appunto, ma non da noi. E allora...

E allora bisogna avere il coraggio di dire con forza e decisione che i sistemi elettorali attuali allontanano la gente dal voto e dalla politica perché sono scarsamente rappresentativi. Turno unico, doppio turno di collegio, tatarellum, soglia di sbarramento, sono cose che la gente stenta a capire e che producono solo e soltanto una realtà: il consolidamento dei partiti maggiori che, non a caso, si fanno le leggi a loro uso e consumo al fine di perpetuare all'infinito il loro potere.

Una situazione questa che non può non essere chiamata con il suo nome reale: oligarchia. Un'oligarchia che avanza e si consolida ogni giorno di più con la complicità dei pavidi giornalisti e del gran can can dei mass media. Altro che bipolarismo, altro che regime dell'alternanza. Chiacchiere destinate a rimanere tali. L'introduzione del sistema maggioritario nel nostro paese, con il referendum dell'aprile 1993, quando sull'onda di Tangentopoli e delle inchieste di Mani Pulite, la gente credette in buona fede che in tal modo si sarebbe ridotto il numero dei partiti, assicurando maggiore trasparenza e onestà, si è rivelata fallimentare.

Tutti gli obiettivi infatti sono stati mancati. Il numero dei partiti? Basta scorrere l'elenco di quelli ammessi solo qualche settimana fa ad usufruire del finanziamento pubblico: ben quarantaquattro. Il bipolarismo? Ma quale? Quello dei ribaltoni, dei ribaltini, dei ribaltucci, della compravendita dei deputati, del salto da uno schieramento all'altro e del trasformismo più becero? Il regime dell'alternanza? Beh, lasciamo perdere. Con quanto è successo nel nostro paese negli ultimi mesi e la maniera stessa con cui l'onorevole D'Alema si è trovato a ricoprire i panni di Presidente del Consiglio dei Ministri non ce ne pare un bel esempio. La trasparenza? Quale? Qui c'è solo lo strapotere delle segreterie dei partiti che impongono dall'alto i candidati loro amici nei collegi sicuri e che i cittadini si trovano a dover sopportare. Un esempio per tutti? La candidatura di Di Pietro nel Mugello, imposta da D'Alema agli elettori del suo partito che hanno faticato non poco a buttar giù il boccone. E nessuno creda che sia l'unico, perché con il maggioritario da un lato gli elettori sono costretti a subire la tirannia dei segretari di partito che scelgono chi vogliono e dall'altro vengono a consolidarsi quei «ras» dei collegi di cui parlava qualche tempo fa un personaggio autorevole (non per noi), Norberto Bobbio.

Senza parlare poi della eccessiva personalizzazione della politica: Prodi, Di Pietro, Segni, Cossiga, Fini, Berlusconi, Dini, più che dei leaders politici sembrano dei ducetti di second'ordine, tronfi e gonfi di se stessi quanto disinteressati alle sorti del paese. Un'autentica oligarchia che pensa di poter tutto costruendo una partecipazione popolare al 35-40%.

E queste osano chiamarle riforme. Roba da morir dal ridere, se non ci fosse da piangere. E poi ci si stupisce che la gente non va a votare. Ci andrà sempre meno e lo vedremo.

Del resto il sistema vigente poco ha a che fare con le radici, la cultura, le stesse caratteristiche psicologiche della popolazione italiana. Cosa di cui i nostri politici, protervi e arroganti come tutti gli ignoranti, non sono in grado di tener conto. Farebbero bene ad andare a rileggersi le pagine di Vincenzo Cuoco che nel suo "Saggio sulla Rivoluzione Napoletana" -sì, proprio quella di cui ricorre quest'estate il bicentenario- accusava i giacobini partenopei di aver voluto introdurre a Napoli idee e costumi che poco o nulla avevano a che fare con la popolazione e le tradizioni della città, onde il loro isolamento con conseguente fallimento.

E per questa ragione anche il referendum di Di Pietro, Segni, Occhetto e, ultimo arruolato, Fini, non può che farci sorridere. Sorridere di pena e di commiserazione. Credono costoro, o ancor meglio vogliono farci credere, che abolendo la quota proporzionale dal sistema elettorale, verranno risolti i problemi del paese. Poveretti. Almeno la crescente fuga dalle urne avrebbe dovuto essere di insegnamento per questi signori. Ma aspettarsi qualcosa da loro è come porsi dinanzi ad una statua in attesa che si metta a camminare. E così dalla democrazia bloccata del secondo Dopoguerra, quella del cinquantennio democristiano, passeremo alla nuova oligarchia dei primordi del Terzo Millennio. Le esperienze e la storia futura di questo nostro sventurato paese dimostreranno quanto abbiamo ragione.

Nicola Cospito