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Indice Orientamenti

 

Anno II - 1999 - n° 3-4

Sommario:
 

Quale futuro per la Fiamma? * Nicola Cospito

La figura e la vita di Berto Ricci * Paolo Ricci

L'apostolo e l'apostata: Berto Ricci e Indro Montanelli * Fabrizio Altieri

A Firenze, 55 anni fa, l'assassinio di Giovanni Gentile * Giorgio Bubbi

La sinistra e la mafia (2ª parte) * Francesco Mastroianni

Il Sanfedismo e l'occupazione francese * Vincenzo Villello

Apocalisse e rivoluzione * Maria Lina Veca

Razzismo * Enzo Schiuma

Telecom-Olivetti: un affare privato * Pino De Rosa

Tradizione e Fascismo * Andrea Monastra

Vent'anni dopo * Maurizio Cabona

Shaka e il suo popolo * Filippo Giannini

Analisi e critica dell'irrazionalismo * Giovanni Perez

Nascita, vita e morte delle stelle * Giuseppe Indiano

Recensioni

 

L'EDITORIALE

 

Quale futuro per la Fiamma?

Nicola Cospito

 

Crediamo opportuno intervenire in apertura di questo numero di "Orientamenti" sugli ultimi avvenimenti che hanno caratterizzato e stanno caratterizzando la vita interna del Movimento Sociale - Fiamma Tricolore, nella convinzione che una rivista come la nostra non possa sottrarsi al dovere di fare un'analisi di quanto riguarda un partito che, unico ormai, rappresenta la continuità storica con le nostre radici e lo strumento atto a traghettare nel Terzo Millennio il progetto nazionalpopolare di rifondazione dello Stato e della Società.

Quanto abbiamo letto in queste ultime settimane sulla stampa circa un possibile accordo con il Polo alle elezioni regionali della prossima primavera, premessa per un ulteriore e più decisivo accordo alle politiche, sembra davvero mettere in discussione l'esistenza stessa di questo partito, nato all'insegna della lotta contro le forze retrogradi e conservatrici di destra e di sinistra, e sta scuotendo, anche e soprattutto per il modo con il quale il segretario Rauti sta conducendo le trattative (ma non sarebbe meglio parlare di svendita?), la coscienza di quanti dal raduno all'Ergife in poi, hanno lavorato alla costruzione di un soggetto politico realmente alternativo al sistema. Ma andiamo con ordine.

Parlare della Fiamma Tricolore oggi vuoi dire innanzi tutto focalizzare, di fronte al caos del quadro politico nazionale che pure si manifesta nella crisi interna e nella progressiva frantumazione dei vari partiti e gruppi di governo e non, il suo compito ancora, ahimè, potenziale di «punto di riferimento» per un'area certamente più vasta, composita e articolata di quanto pure rappresentato dalle sue stesse strutture e dalla sua organizzazione. Riconoscere questa realtà e cioè che la Fiamma Tricolore non è ancora riuscita ad adempiere a questo suo ruolo doveroso quanto indispensabile, può costituire certamente la premessa per acquisire coscienza del problema, per indagare e focalizzare le cause avviare un dibattito equilibrato e fecondo e individuare finalmente le possibili soluzioni e le tappe per fare di questo movimento una realtà autenticamente rivoluzionaria, in grado non solo di promuovere un'efficace opposizione ideologica al sistema liberalcapitalista e ai suoi modelli politici e sociali oltre che economici, ma di porsi come forza compatta e travolgente, capace di catalizzare e organizzare la ribellione che serpeggia negli strati più penalizzati della popolazione del nostro paese. Compito questo che comporta l'aggregazione e l'utilizzazione di tutte le energie intelligenti, militanti e intellettuali dell'area antagonista.

Ebbene, tra le cause che hanno frenato la crescita del movimento che pure all'indomani del congresso di Fiuggi e della svolta liberista di AN sembrava destinato ad imporsi come l'unica forza di opposizione, non si può non rinvenire una gestione eccessivamente verticistica e deludente che, soprattutto negli ultimi due anni, ha sembrato trasformare il Movimento Sociale nel partito personale di Pino Rauti. Certo, soprattutto a partire dall'introduzione del sistema maggioritario, è effettivamente dilagata nel paese la moda dei partiti e delle formazioni personali. I partiti, più che esprimere un progetto politico, un sistema di idee e di valori, un complesso di posizioni ideologiche, sono venuti identificandosi con i loro leaders: il partito di Dini, quello di Di Pietro, quello di Prodi, il partito di Segni, la lista Pannella e via di scorrendo, sino a diventare, loro malgrado, moneta per accordi più o meno discutibili e condivisibili, nelle mani dei rispettivi segretari che ne hanno fatto -e ne fanno- un uso assolutamente personale e qualche volta una vera e propria mercé di scambio.

Così è sembrato a molti che anche per la Fiamma Tricolore le cose non andassero diversamente, mentre invece un movimento come questo appunto, certamente non nato ieri e dalle radici profonde, non doveva condividere, i processi in volutivi propri delle formazioni liberal-democratiche. E così si spiega come mai, nonostante l'enorme spazio politico resosi disponibile anche in seguito alla crisi interna di Alleanza Nazionale, la nave della Fiamma -per usare un'espressione cara a Rauti- non sia ancora riuscita ad uscire dalla bottiglia. Certo, in occasione delle recenti elezioni europee il partito è cresciuto, passando dallo 0,9 % della media nazionale a quella dell'1,6 abbondante, ma l'obiettivo di portare a Strasburgo qualcosa di più di un unico deputato, non è stato raggiunto.

E non a caso il seggio della Fiamma è stato conquistato non al Centro ma al Sud . Qui infatti la propaganda del partito è risultata più politica e intelligente perché ha saputo fare leva, anche nelle parole d'ordine, sui sentimenti di rabbia e di orgoglio delle genti meridionali tradite dal sistema, tema questo di grande impatto ed efficacia.

Al Centro invece il risultato è mancato per soli 28.000 suffragi che non sono arrivati anche a causa degli errori e delle manchevolezze di chi ha gestito il partito in prima persona. L'imposizione del capolistato di Isabella Rauti ad esempio, non giustificato in alcun modo dal suo essere la responsabile del settore femminile, settore, tra l'altro esistente unicamente sulla carta proprio per i limiti tecnico-organizzativi della figlia del segretario, ha accentuato all'esterno, ma soprattutto nel nostro elettorato, l'impressione del partito a conduzione familiare, più orientato a sistemare qualcuno, che a battersi per un obiettivo politico; la povertà degli slogans «Diamo un'anima all'Europa» è comparso infatti anche nei manifesti di AN, l'acquisizione nella propaganda della capolista e persino del programma del partito, dei simboli comunitari dell'UE comunque a noi estranei, la mancata tempestività nell'organizzazione e nella diffusione della propaganda stessa, dovuta allo storno dei denari del partito verso altri settori assolutamente irrilevanti (leggi "Linea") sono solo alcuni dei motivi che hanno determinato l'insuccesso nell'Italia Centrale.

Eppure il fatto che solo pochi mesi prima delle europee, a Roma, in occasione delle elezioni provinciali, una lista appena nata, quella del FN, avesse conquistato lo stesso numero di consensi, avrebbe dovuto indurre l'onorevole Rauti ad una riflessione critica più attenta e costruttiva. Invece la stessa composizione delle liste, avvenuta in dispregio dello Statuto che pure recita all'articolo 31: «Il Coordinamento regionale approva le liste ... predispone le liste per le elezioni regionali, nazionali ed europee che saranno ratificate dal Comitato Centrale ...» è apparsa come un'operazione dettata più dalla logica delle possibili alleanze dei candidati con la capolista che dagli autentici interessi del Partito. Il Comitato Centrale -e chi può smentirlo?- ha infatti approvato solo i capolistati e non le liste, che invece sono state fatte in privato e «imposte» dal massimo vertice, nemmeno a dirlo all'ultimo momento. Quello che è mancato in fondo, ancora una volta, è stata la trasparenza, e un mondo come il nostro, estremamente sensibile e stanco di essere «fregato», ha reagito preferendo non votare piuttosto che favorire i disegni personali di qualcuno.

Ma questo è solo un episodio. Che dire infatti di quella vicenda dolciastra e melanconica che risponde al nome di "Linea"? Se pure nelle sue precedenti edizioni di quindicinale e di mensile, "Linea" aveva avuto un suo spessore e una sua serietà fatta di buona grafica, contenuti originali e intelligenti, sforzi concettuali, scoop di estremo interesse, "Linea" quotidiano, al contrario, si è rivelato essere un giornale fatto male, con una redazione discutibile, un foglio quanto mai approssimativo, né politico, né di informazione, dedito al saccheggio delle agenzie, nella, sostanza assolutamente grigio e patetico. Cosa che non può non suscitare rabbia, o quantomeno disappunto, se solo si considera che la nostra area, nel passato, ha saputo fare di molto, molto meglio, arrivando a contraddistinguersi in modo egregio e a qualificarsi proprio per le iniziative editoriali e giornalistiche. Insomma "Linea" quotidiano non sembra davvero all'altezza della «nostra storia» e proprio in questo senso non ha giovato e certo, così com'è, non giova al successo del Partito.

Nell'ultimo Comitato Centrale poi, si è parlato -il Segretario ha parlato- di «partito pesante» e di «partito leggero», intendendo in questo modo un partito che, troppo pesante nelle strutture, necessita di un loro alleggerimento. Francamente tutta questa pesantezza non si sa bene dove stia. Le strutture magari esistessero come dovrebbero. I settori?

A parte il tesseramento e la commissione accettazione e disciplina, cosa si può rintracciare che veramente funzioni? La scuola di partito è solo un ricordo, dato che dopo le prime tre sessioni è stata accantonata. La rivista ideologica? "Civiltà" è stata per volontà del Segretario solo un fuoco fatuo con due brevi apparizioni. Il settore delle cooperative? Un progetto rimasto sulla carta. Quello giovanile? Povero e privo di mezzi, non ha potuto fare molto, nonostante la buona volontà e l'entusiasmo dei suoi dirigenti, posti nella condizione di non poter intraprendere iniziative importanti. "Senza Tregua", l'organo di stampa dei giovani ha fatto la fine di "Civiltà". Del settore femminile, abbiamo già, ahimè, riferito. E allora?

Lo Statuto infine del Partito, approvato in una situazione di necessità, si caratterizza per alcuni articoli che fanno del Segretario poco meno di un Faraone. Sarà compito delle prossime riunioni degli organi restituire all'intero Movimento quel dibattito interno critico e costruttivo che sembra essere mancato sinora. Buoni segnali in tal senso non mancano.

Nella seduta del Comitato Centrale del 26 giugno u.s. molti nodi sono venuti al pettine e si è finalmente cominciato ad evidenziare le cose che non vanno. Non è un caso che la stessa relazione del Segretario sia stata messa ai voti e approvata con una maggioranza risicata. Ciò nonostante proprio nel mese di agosto, Rauti, che pure nell'ultimo comitato centrale aveva sospeso ogni dibattito sull'ipotesi di desistenza o di accordo con il Polo, -«camerati rimandiamo questo delicato tema al congresso perché su questo il partito potrebbe spaccarsi» sono parole sue- ha avviato sulla stampa con alcune interviste e dichiarazioni, un processo di avvicinamento a Fini e a Berlusconi che non può non lasciare, perplessi. Anche, come dicevamo, per il modo con cui esso è stato avviato, dando l'impressione di una vera e propria svendita.

Non si tratta infatti nemmeno di un accordo politico su reali punti programmatici. Quelli indicati da Rauti, circa l'ordine pubblico, l'arresto dell'immigrazione clandestina e la protezione del piccolo commercio, sono molto generici e potrebbero essere sottoscritti perfino da D'Alema e da Bertinotti. Perché infatti il segretario non ha posto come condizione l'attuazione immediata dell'articolo 46 della Costituzione, uno dei cavalli di battaglia della Fiamma, o una rinuncia alle squallide pagliacciate referendarie che mirano a rafforzare attraverso un maggioritario ancora più radicale, l'americanizzazione della politica italiana? La verità è che Rauti, nell'avviare le sue trattative, non ha ricevuto alcun mandato dal Comitato Centrale, né dalla Direzione Nazionale del Partito e neppure convince il bluff di un dibattito che annuncia ma che non vuole di fatto cominciare.

Sappiamo che chi dissente, diventa per l'attuale segretario un nemico personale. Forse il mandato se l'è fatto dare dalla sua segreteria politica, di recente costituzione, creata forse, anzi molto probabilmente, per la bisogna. E non è un caso che da questa segreteria siano stati esclusi alcuni tra i fondatori stessi del Partito, dall'europarlamentare Roberto Bigliardo a chi scrive. Di certo Rauti non avrebbe avuto così le mani libere. L'atmosfera comincia dunque a riscaldarsi e i prossimi avvenimenti potranno essere decisivi per la Fiamma Tricolore. Coloro che guardano dall'esterno, in attesa che qualcosa cambi per potersi impegnare all'interno, possono ora cominciare a sperare che il Movimento Sociale - Fiamma Tricolore torni ad essere la casa comune di tutti coloro che intendono battersi in modo disinteressato ed efficace per l'Idea grande e rivoluzionaria che arde sì nei nostri simboli, ma soprattutto nei nostri cuori.

Nicola Cospito